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Possiamo cambiare, se lo vogliamo
A giugno votereremo per riformare la legge elettorale, ma nessuno sembra saperne niente. Invece dobbiamo mobilitarci

Caserta - Chi mi segue su queste pagine digitali sa che il sottoscritto non ama l'attuale Governo, tanto da essere tacciato di partigianeria e comunismo. Pazienza: meglio essere criticato che rinunciare a mettere in evidenza, nei limiti di quanto possibile, le schifezze di questa classe dirigente che ci sta portando sull'orlo del baratro col plauso delle masse, contente di non pagare qualche centinaio di euro di ICI all'anno anche a costo di vedere smantellate istruzione e sanità pubbliche (giusto per parlare di una delle cose più gravi).

Prima o poi scriverò di Berlusconi e, in particolare, della sua proverbiale capacità di fascinazione, la straordinaria dote che gli ha attirato milioni di consensi ma che ha reso la politica italiana una sottospecie di spettacolo televisivo nel quale contano l'immagine e l'arrembanza a discapito di ogni contenuto politico degno di questo nome. Di giovani sostenitori di Berlusconi ne ho conosciuti parecchi e, duole dirlo, mi hanno dato tutti la stessa, tragica impressione: un'ignoranza mostruosa (specie della storia patria e del fascismo) e una capacità di concentrazione pressoché nulla. L'incapacità di capire frasi anche minimamente articolate è il motivo per cui, in materia di politica, non vanno al di là di quanto dice Berlusconi: il resto non arrivano a capirlo perché non sono mai stati alfabetizzati. Hanno fatto le scuole ma le scuole oramai sono ridotte a una cloaca; i giornali e i libri non li sfogliano mai.

In questo clima di barbarie sono passate inosservate le parole di Italo Bocchino, esponente di Alleanza Nazionale (partito che due anni fa aveva raccolto le firme per questo referendum ma che adesso ha cambiato posizione, semplicemente perché non gli conviene più), che ha ufficialmente affermato, con la faccia di corno tipica di quella gente, che il referendum elettorale sarà fissato per il 14 giugno, e non il 7 assieme alle altre elezioni, allo scopo di disincentivare gli elettori a recarsi alle urne. Il rinvio, che non ha altre motivazioni razionali, costerà 400 miliardi di euro, per di più in un momento di profonda crisi economica. Ciò la dice lunga sull'etica della destra italiana: pur di ottenere il loro tornaconto sono capaci di gabbare l'opinione pubblica e di sperperarne i soldi (tanto i polli da spennare non se ne accorgono, salvo poi prendersela con l'"euro di Prodi").

Ma oramai a tutto questo siamo abituati. Così come siamo abituati al silenzio e alla scarsa intraprendenza delle opposizioni. Personalmente, spero che il movimento referendario riesca a portare alle urne la metà più uno degli elettori, raggiungendo quel quorum senza il quale la consultazione non sarebbe valida. Cosa molto difficile: è dal 1995 che i referendum abrogativi non ottengono il quorum. Ma accorpandolo alle elezioni sarebbe tutto più facile. E soprattutto, sarebbe bello riuscire a convincere le persone ad andare a votare perché questo referendum, adesso, è l'unico modo che abbiamo noi elettori per dare uno scossone a un sistema bloccato, anchilosato. Destinato a rimanere fermo.

In caso di vittoria del Sì gli effetti positivi non sarebbero immediati: il premio di maggioranza verrebbe attribuito al partito più votato (e non più anche alla coalizione) e sarebbero abrogate le candidature multiple, cioè in più circoscrizioni. In sostanza, Popolo della Libertà e Lega dovrebbero presentarsi sotto lo stesso simbolo o andare divisi; idem il Partito Democratico con l'Italia dei Valori o quanti altri. In concreto si andrebbe verso il bipartitismo e una semplificazione ancora più netta del quadro politico. Probabilmente, messo alle strette, il Parlamento approverebbe una nuova legge elettorale. Si spera più equa e seria, col voto di preferenza e senza premi di maggioranza artificiosi; si spera condivisa da tutte le principali forze politiche e non votata a colpi di maggioranza come quella attuale giusto per ostacolare gli avversari politici.

Chissà, magari dovrò ricredermi e ammettere che, in certi casi, il nostro Parlamento torna a funzionare bene e a sfornare leggi equilibrate e lungimiranti. Ci spero poco, ma chissà. Intanto noi facciamo il nostro dovere, andiamo a votare e magari convinciamo qualcuno della bontà delle nostre ragioni. Che non è mai male.

I referendum elettorali non sono una novità nella nostra storia repubblicana: nel 1991 e nel 1993 due consultazioni (che avevano l'obiettivo di eliminare la preferenza multipla e il proporzionale, emblemi della Prima Repubblica e della sua degenerazione) riuscirono, sull'onda dell'entusiasmo e della partecipazione popolari, a terremotare la partitocrazia e a spianare la strada al nuovo. Un nuovo che purtroppo durò poco, certo, ma allora una porzione consistente dell'opinione pubblica dimostrò di voler cambiare per davvero, senza disperarsi o mugugnare ma mobilitandosi e partecipando nel concreto.

Adesso abbiamo una nuova opportunità. Perché sprecarla?

Antonio Cilardo

direttore@tuttiinpiazza.it

26/02/2009
 
 
 
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