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Contro i parrucconi della stampa cartacea / 1
Vi riproponiamo una recensione sui quotidiani sovvenzionati dal Governo

Amo i giornali di carta. Quelli che la crisi economica sta mettendo in ginocchio anche in Italia dopo che free press e internet le avevano già sferrato un duro colpo. Mi piacerebbe tantissimo tornare a scrivere per un quotidiano di carta; o magari fondarne uno nuovo: un giornale snello e di qualità, con poche notizie essenziali e tanta riflessione. So che sono solo fantasie.
L'editoria cartacea funziona in un certo modo. I quotidiani cartacei, nazionali e locali, ottengono dallo Stato centinaia di milioni di euro l'anno. Cifre spaventose che dovrebbero servire a salvaguardare il pluralismo dell'informazione ma che vengono impiegate per ben altri scopi. Pochi lo sanno. E' per questo che vi propongo una recensione che scrissi per un altro giornale on line, un sito che non ha mai visto la luce. Serve a capire perché il sistema dell'informazione, in Italia, è ridotto in uno stato comatoso, con poche innovazioni, poco brio, poca meritocrazia, poco spazio per i giovani. E soprattutto poca indipendenza nei confronti dei potentati politici ed economici. Ai quali, anzi, i quotidiani sono spesso organici.
E' per questo che le penne giovani e migliori scappano da quelle redazioni costose ma deprimenti. Che ti fanno passare la voglia di scrivere.
Spesso sento e leggo sui media parole di scherno nei confronti del giornalismo on line. Eppure mentre noi dei quotidiani digitali eroghiamo un servizio tempestivo e di qualità senza ottenere nulla da nessuno, i parrucconi del giornalismo tradizionale vengono pagati dallo Stato per sostenere, il più delle volte, interessi di bottega. Politici o economici.
La recensione è in sei puntate. E' lunga, ma sintetica. E' un argomento che merita di essere conosciuto, fidatevi.

* * *

"La Casta dei giornali – Così l’editoria italiana è stata sovvenzionata e assimilata alla casta dei politici", scritto da Beppe Lopez ed edito l’anno scorso da Stampa Alternativa (collana Eretica), fa il verso al più celebre "La Casta", dedicato da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, firme del Corriere della Sera, ai privilegi della classe politica. Anche il settore dell’informazione (quotidiani, periodici, agenzie di stampa, case editrici, emittenti radiotelevisive) gode di privilegi inauditi.

Eppure se ne parla poco: questo perché, se un politico o un imprenditore commette un errore o abusa della carica che ricopre, gli avversari e almeno una parte degli organi di informazione sono immediatamente pronti a dargli addosso, come in una normale democrazia. Ma quando l’intero settore dell’informazione approfitta di un imponente sistema di finanziamenti statali, invece, chi è disposto a parlarne? Quasi nessuno, dal momento che tale sperpero di denaro pubblico dovrebbe essere denunciato proprio da coloro che ne beneficiano. Normale, dunque, che l’opinione pubblica sappia poco dei 700 milioni di euro che le casse dello Stato versano ogni anno ai vari operatori dell’informazione.

Il finanziamento pubblico all’editoria ha radici antiche, che risalgono per lo meno al periodo fascista, e si riallaccia ad altre tematiche come l’indipendenza, l’autorevolezza e il pluralismo dell’informazione; la diffusione di libri e giornali; la conformazione del mercato editoriale e radiotelevisivo; l’intervento dello Stato nell’economia e le dimensioni della spesa pubblica.

Sarebbe ingiusto delegittimare a priori il sostegno dello Stato all’editoria. Un sostegno giustificato dalla necessità di salvaguardare le piccole testate, le cooperative non fittizie composte effettivamente da soci-lavoratori, i giornali di partito che non troverebbero spazio sul mercato perché poco appetibili per gli inserzionisti pubblicitari. L’obiettivo di Lopez non è negare in assoluto l’utilità delle provvidenze statali, ma dimostrare come le intenzioni originarie siano state tradite e strumentalizzate per finanziare indebitamente imprenditori e partiti politici e non, invece, per incrementare il tasso di lettura, nel nostro paese desolatamente basso, e difendere uno dei pilastri di ogni sistema democratico: il pluralismo dell’informazione.

Da anni si parla insistentemente di pluralismo dell’informazione per indicare la concorrenza e la coesistenza, nell’universo dei media, di diversi punti di vista, opinioni, idee, tesi, ricostruzioni. Un concetto dai confini incerti perché non è possibile determinare, in maniera univoca e valida per tutti, le idee e le opinioni meritevoli, quelle cui si deve dare voce per garantire il pluralismo dell’informazione.

Anche il legislatore ha provato a definire questo concetto attraverso la famosa e contestata legge Mammì del 1990 sulle telecomunicazioni; denominata “legge fotografia” perché, piuttosto che garantire a nuovi editori l’accesso alle frequenze radiotelevisive, ratificava il duopolio che lungo gli anni ’80 si era consolidato nel mercato televisivo e pubblicitario, spartito tra Rai e Fininvest (ora Mediaset). La legge Mammì sembrò tradire quel valore di cui pure dava una precisa definizione, distinguendo un pluralismo interno da uno esterno.

Il pluralismo interno riguarda principalmente radio e televisioni pubbliche (la Rai) e consiste nella capacità di una singola testata giornalistica di offrire, di uno stesso evento, ricostruzioni e interpretazioni diverse, dando spazio a opinioni eterogenee. Per le ragioni indicate prima tale concetto non è privo di ambiguità e si rivela più che altro un ideale da perseguire per il singolo operatore dell’informazione.

Il pluralismo esterno, invece, è prodotto dal mercato e dall’accesso di numerosi soggetti autonomi e indipendenti ai vari comparti della comunicazione di massa (tv, radio, carta stampata, internet, pubblicità…), di modo che ogni testata possa scegliere liberamente la propria linea editoriale; i contenuti che non hanno trovato spazio, se ritenuti validi e meritevoli, potranno essere accolti dalla concorrenza.

Questo secondo tipo di pluralismo può essere verificato senza ambiguità in quanto ottenuto dalla presenza sul mercato di una pluralità di imprese indipendenti; richiede che siano indebolite le barriere di accesso ai mercati della radio, della televisione, della stampa, della pubblicità…, in modo da agevolare l’ingresso di nuovi soggetti, e che nei vari mercati sia vietata l’eccessiva concentrazione di risorse nelle mani di pochi operatori. (continua domani)

Antonio Cilardo

direttore@tuttiinpiazza.it

10/04/2009
 
 
 
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