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'Questo è il paese che non amo' di Antonio Pascale
L’analisi spietata dello scrittore casertano ci parla di un’Italia senza stile

Cosa è accaduto all’Italia di questi ultimi anni per renderla così narcisista, superficiale, o, come recita il sottotitolo, “senza stile”? E’ a questa domanda che tenta di dare una risposta Antonio Pascale nel suo ultimo saggio dal titolo “Questo è il paese che non amo”, pubblicato dalla Minimum fax.
Muovendosi tra autobiografia e inchiesta, l'autore casertano traccia un profilo del nostro paese, ripercorrendo gli eventi chiave che hanno contraddistinto gli ultimi trent’anni e mischiando il tutto al proprio vissuto personale, alle letture ed ai film incontrati lungo il cammino.

 «Il 19 gennaio 2000 morì Bettino Craxi, il 25 aprile 2000 cadde il governo D’Alema, il 20 giugno 2000 nacque la mia seconda figlia, Marianna, e il 23 giugno 2000 morì Enrico Cuccia».

Pascale parte dall’analisi di quello che è oggi il nostro immaginario: sempre più povero e banale si ciba di immagini semplificatrici. Sono le immagini fantasmagoriche e cioè parziali e senza consistenza, che aleggiano nelle case impregnando le nostre menti. 
C’è stato un tempo in cui esisteva un codice di comportamento etico: quello che faceva criticare sdegnosamente una carrellata di “Kapò” di Gillo Pontecorvo a Jacques Rivette in un famoso articolo dei “Cahiers du Cinema”. Alcuni temi erano tabù, rappresentavano un limite alla rappresentazione.
Oggi il punto di non ritorno è stato superato da un pezzo. Quel pudore era di un’epoca nella quale anche solo la mancanza di esperienza diretta presupponeva l’incapacità e l’inadeguatezza di rappresentarla. Di quel pudore non è rimasta traccia a causa di una tendenza spesso impudente, sempre irrispettosa, alla semplificazione.
Per capire il mondo in cui viviamo, l’Italia in cui viviamo, è necessario partire dall’assunto che oggi il ricorso alle “carrellate” non conosce limiti. E’ questa semplificazione della realtà ad aver condotto l’opinione pubblica a credere senza esitazioni, ad esempio, alla cura Di Bella contro il cancro o a prendere posizione nel caso di Eluana Englaro, la ragazza in coma vegetativo per un incidente di 17 anni prima.

«In effetti Di Bella in televisione funzionava benissimo. Sembrava infatti un vecchio nonno, con i capelli candidi e gli occhiali spessi. Certe sue dichiarazioni, come «Apro per pranzo scatole di fagioli così risparmio sulla carne», o altre un po’ più ardite, tipo «La causa del cancro al seno sono le stimolazioni erotiche», attiravano simpatia, perché sembravano far parte del repertorio di un’Italia arcaica, ma pulita e giusta, non corrotta dalla modernità. Un’Italia che non subiva gli influssi cattivi della scienza, che come si sa è cinica e brutale, conduce il mondo verso la distruzione e ci fa sentire onnipotenti».

Poco importa che questi nuovi meccanismi perversi producano disinformazione e anche pericolose illusioni. I mezzi di comunicazione sembra non conoscano altra immagine se non quella fantasmagorica e altra tecnica se non quella di cui parla Auerbach, la tecnica del riflettore: di tutto  un ampio discorso si illumina solo la piccola parte che fa effetto, mentre tutto il resto - che fornirebbe una maggiore comprensione della realtà illustrando il contrappeso di ciò che è stato messo in risalto - resta invece nel buio.
All’interno di questo nuovo spazio comunicativo hanno successo uomini diversi: anti-intellettuali, infantili, propugnatori di un ottimismo a oltranza, dotati di un narcisismo che collima perfettamente con la mancanza di senso di realtà imperante, questi uomini si trovano a loro agio con le nuove regole del gioco. Si addormentano nelle comode braccia del simbolo e fanno uso di parole amebe, quelle parole cioè che si espandono a dismisura e inghiottono ogni cosa, come le amebe appunto: libertà, invidia, amore, odio. Questi uomini incontrano il favore del pubblico, sempre più superficiale, sempre più disattento. È questo lo stile che emerge dalla nostra nazione, un’assenza di stile appunto. E sembra che d’improvviso tutto torni, il ragionamento si chiuda in una sintesi.

«Un paese che ha sempre nutrito poca propensione per l’analisi è facilmente portato a riconoscersi in dichiarazioni che si presentano con alto tasso di emotività».

Nulla quindi nasce per caso. Pascale, con il suo stile semplice e brillante, ci illustra la filiera degli eventi: le caratteristiche del nostro Paese sono frutto di quello che siamo stati.
Ed ecco quello che siamo diventati: poco critici, incapaci di mettere in discussione nessuna delle immagini semplificatrici che ci giungono, siamo come in balia degli eventi, una collettività acritica e senza stile.

Stefano Crupi

21/04/2010
 
 
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