“Quando le cose funzionano è perchè concorrono una serie imprevedibile di concause. Alla fine tutto si riduce ad accadimenti e persone. Qualcosa t'inchioda, qualcuno ti smuove, e viceversa. Un incontro, una malattia, un'incombenza, un'amicizia, un amore. La tragedia che incombe, la meraviglia a portata di sguardo. La vita oltre che dono, meraviglioso comunque, è un mistero che non siamo noi a determinare. Non così tanto come vorremmo. C'è altro oltre la nostra buona o pessima volontà.” (Giovanni Lindo Ferretti, Bella Gente d'Appennino, Mondadori 2009, p. 152) E’ arrivato in autunno, Carillon. Fantasia in due parti, si è materializzata alla presente fermata di un treno partito più di dieci anni fa: lo racconta l’autore, Donato Cutolo, nella retrospettiva in appendice al leggiadro libricino. Un percorso iniziato in musica – elettronica, sperimentale, contaminata – che lo ha portato ad essere compositore e produttore apprezzato in Terra di Lavoro e oltre, e poi arricchitosi della dimensione del testo, passando per gestazioni invernali, primavere creative e incontri casuali. Di più: provvidenziali. Come quello con Fabio Tommasone, nel disco che accompagna il racconto coautore ed esecutore al pianoforte, strumento principe tra gli altri voluti dalla regia elettronica di Donato. Musica e testo sono due matrici intimamente connesse, ché la parola è anzitutto suono. La scrittura di Donato si compie nella lettura ad alta voce come ordito sonoro di parole, margini, pause e risonanze. Nel racconto, nomi che suonano alieni segnano una terra e personaggi che pure per più di un tratto rimandano al nostro mondo. Bloom Alia e i suoi abitanti – il loro cuore - sembrano però irrigiditi sotto una coltre grigia, o circonfusi di una luce lunare. Nella trama, anzi negli ingranaggi delle storie di personaggi diversi, ognuno a suo modo diretto verso l'uscita, l'incontro di due amanti: sarà Kate a scegliere Met per portarlo con sè, in una misteriosa (misterica) trasfigurazione finale. Il disco è l’altra delle due metà “distinte e sorelle” del lavoro: quattordici tracce dai titoli laconici, spesso una parola sola come a dare il la ad ogni componimento. Su un fondo di lente pulsazioni, nel paesaggio evocato al sintetizzatore ora si materializza un violino, ora si affaccia discreta una chitarra elettrica, su tutto la notturna grazia del pianoforte che pacifica il cuore. Per parlare bene di un disco o di un libro si usa dire che “fa viaggiare”, o che “apre sterminati spazi”, o qualcosa del genere. Carillon invece accoglie il lettore / ascoltatore in uno scrigno, ne porta l’immaginazione, e ve la custodisce, in una sfera che incanta chi la osservi da fuori come un presepe, o una città ritratta dall’alto al modo d’una antica litografia. E’ appunto nella città-cosmo che gli uomini vivono e s’incontrano. Molti anni fa, in piazza, avvistai Donato: alta figura con una cascata di rasta alle spalle, colpì la mia curiosità di bambino. Questa visione è riaffiorata dopo un oblio di anni, quando Donato, compaesano prima lontano che oggi ha i capelli cortissimi e sorride di meraviglia davanti alla sua opera prima, è approdato a lavorare proprio sotto casa mia. Accadimenti e persone, imprevedibili a formare un intreccio comunque tempestivo: “la geografia è destino”, canta sempre Giovanni Lindo Ferretti, ed è assecondando l’ingranaggio del Carillon che ho scritto questo invito alla lettura. Ma basta parlarne, c’è da leggere e ascoltare. Giuseppe Perconte Licatese
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