Non me ne vogliano le tante ragazzine in fila ai botteghini per “New moon”, ma, di questi tempi, è piuttosto raro imbattersi in un vero film. La fama di “settima arte” del cinema rischierebbe d’essere messa in discussione se non fosse per Almodovar e pochi altri registi, pronti a sostenerla e consolidarla con la qualità dei loro lavori. “Gli abbracci spezzati” è proprio uno di questi. Con la sua diciassettesima opera il maestro spagnolo offre l’ennesima lezione di stile, confermandosi come uno dei più grandi e prolifici cineasti contemporanei. Meno irriverente del solito (si vedano “L’indiscreto fascino del peccato” o “La mala educacion”), il film ripresenta personaggi e temi tipicamente almodovariani: donne dallo spiccato senso materno, gay, gelosia e, non ultimo, l’amore. L’amore che affonda le radici nell’ossessione di Ernesto Martel (José Luis Gomez); l’amore più puro, e forse non meno devastante, di Mateo Blanco (Lluis Homar); ma anche il più tenero amore tra genitori e figli. Ad arricchire il tutto i soliti accenni meta-cinematografici e diversi omaggi al cinema del passato, come “Viaggio in Italia” di Rossellini (in un momento d’intimità i protagonisti guardano la sequenza dei due cadaveri colti abbracciati dalla lava). O ancora l’autocitazione di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, nella commedia girata da Mateo. In ogni caso, questo citazionismo non è mai fine a se stesso, e a precisarlo è proprio l’autore, quando sottolinea che tutti i riferimenti sono perfettamente inseriti nel tessuto narrativo. Un Almodovar per niente stanco, dunque, e sempre all’altezza della sua fama. Riluttante a rivelare, sia pure per sommi capi, la trama del film (onde non rubare emozioni a chi intenderà vederlo), mi limiterò, in conclusione, ad evidenziare l’ottima interpretazione di una sensualissima Penelope Cruz e la splendida fotografia. Buona visione. Antonio Cerreto
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